Un ragazzino pieno di vita!
Gleb fa l’ometto della situazione e sembra sappia benissimo cosa voglia fare. Si siede senza tentennamenti o imbarazzo sulla sedia al mio fianco e mi guarda sorridendo. Ha i capelli rossi, la carnagione chiara e le lentiggini sul volto, un sorriso spontaneo per il quale riesco a creare un contatto anche senza parlare la sua lingua.
Gli mostro il pc indicandogli la tastiera e in un inglese semplicissimo gli chiedo di scrivermi il suo nome e la sua età.
Si chiama Gleb, ha 9 anni.
Immediatamente mi sento a disagio: come posso parlare di cose così atroci come la guerra con un ragazzino così piccolo?
Inizio chiedendogli quale sia la sua materia preferita a scuola e lui immediatamente mi risponde:
≤ educazione fisica! ≥
Gleb ama il calcio, il “Football” sottolinea in inglese; sembra proprio un ragazzino di nove anni, come tutti i ragazzini di nove anni che conosco.
Non ha ancora pensato a cosa vorrebbe fare da grande, probabilmente però gli piacerebbe molto diventare allenatore di una squadra di calcio.
Quando pronuncia quella parola, Gleb si incupisce.
Continuiamo a chiacchierare, ma si percepisce che ora il bambino è a disagio.
Racconta che la sua squadra di calcio preferita è quella del suo paese: il suo nome, in italiano, si traduce con “SPERANZA”. L’allenatore di Speranza è stato ucciso due settimane fa ed è stato insignito dal Presidente Zelens’kyj del titolo di “Eroe Nazionale”, perché è stato un uomo buono che ha sempre messo gli altri davanti a sé. Quando parla del suo allenatore Gleb si commuove.
Tentennando continua a raccontare che ha paura, la guerra gli mette paura. Quando ha visto il primo carrarmato nel suo paese, era terrorizzato. Dice che è molto difficile, perché lui avrebbe voluto restare lì.
Gli manca il suo papà che è dovuto rimanere in Ucraina; sono costantemente in contatto con lui e tutte le sere gli manda la buonanotte, ma non è la stessa cosa. Gleb continua assicurandomi che c’è un grande supporto tra di loro, lui supporta suo padre, il padre fa lo stesso con lui.
Interviste di Emanuela Guerra
Foto di Roberto Pisconti