Olena ha quindici anni e frequenta la terza superiore di un liceo a Kiev. Gioca con le dita sul suo iPhone azzurro, porta le trecce e sembra una ragazza piuttosto spigliata.
Olena racconta che nel suo tempo libero amava praticare sport: durante la pandemia era costretta ad allenarsi in casa, ma da qualche tempo era finalmente riuscita a ritornare in palestra.
Il suo sogno è quello di diventare veterinaria, le piacciono gli animali e vorrebbe prendersi cura di loro.
Quando parliamo della guerra Olena è fredda e sembra non voler mostrare nessuna reazione; è molto razionale e ci spiega tutto usando descrizioni molto dettagliate e parole precise.
Racconta che un missile ha centrato l’edificio accanto alla loro abitazione e non è esploso: lei e la sua famiglia hanno immediatamente compreso che la vita gli aveva donato una seconda opportunità e che dovevano sfruttarla al meglio. Hanno così deciso di fuggire, un viaggio in auto durato quarantott’ore. Rimango basita di fronte alla positività di questa ragazzina: stiamo parlando di morte, distruzione, bombe e lei riesce a ringraziare la vita per questa nuova occasione.
La guardo con profonda ammirazione, sentendomi in fondo davvero piccola.
Olena continua a parlare, spiegando che suo padre è dovuto restare in Ucraina, e che lei è molto triste per questo. Spera di riuscire a riabbracciarlo presto e il modo in cui pronuncia questa frase mi gela il sangue.
Vuole tornare al più presto a casa sua, ma è felice del fatto che finalmente la sua scuola abbia riattivato la didattica a distanza e che riesca così a riprendere gli studi. Sta programmando le olimpiadi studentesche, non può perdere tempo!
Rimango attonita di fronte alla grandezza di questa ragazzina. Lei si incupisce un po’ e guardando verso il basso mi confida che alcuni suoi amici sono entrati nelle milizie e che spera di riuscire a riabbracciarli.
Quest’intervista è un saliscendi di emozioni, come possiamo passare dal quindicenne che studia per vincere i campionati studenteschi, a quello che tiene in mano un fucile?
Olena mi guarda dritta negli occhi, mi racconta che erano otto anni che si respirava un clima di preparazione al conflitto, che “un punto bisognava metterlo”; quello che però si augura è che tutto finisca presto, che l’Ucraina vinca e che i confini territoriali rimangano intatti. Che tutti possano tornare alla loro vita di prima.
Interviste di Emanuela Guerra
Foto di Roberto Pisconti