Accompagnata dalla sorellina e dal papà, Alina si siede timidamente sulla sua sedia in attesa di istruzioni. Ha un cerchietto azzurro con i fiorellini in testa, mi ricorda molto la principessa Elsa di Frozen.
Alina ha dieci anni e frequenta le scuole elementari a Charkiv; la sua materia preferita è il disegno, da grande vorrebbe diventare una pittrice e non riesco a trattenermi dal complimentarmi per l’ambizione. La bambina mi guarda e sorride, quasi avesse capito che il mio era un complimento.
La guerra le fa paura, ha paura delle bombe, dei missili e della distruzione. L’ultima notte nella sua casa l’ha passata abbracciata alla sua mamma e il suo papà: erano al buio, in salotto, con i mobili addossati alle finestre per proteggersi in ogni modo possibile.
Quando il suo papà ha detto che sarebbero dovuti fuggire in Italia, dove la zia li stava aspettando, si è immediatamente sentita sollevata. Ha preparato uno zainetto di fortuna con il necessario per la sopravvivenza: ci ha messo un cambio, uno spazzolino, i pennarelli, gli evidenziatori e un taccuino di fogli bianchi.
Chissà quanto deve aver colorato Alina durante il suo viaggio della speranza, prima in treno fino a Leopoli e poi in un pullman fino a qui.
Chissà come può aver disegnato la paura e la speranza di un rifugio sicuro, come può viverli un bambino di dieci anni?
Sorride sincera quando ci racconta del suo arrivo in Italia, dell’accoglienza ricevuta, della sua permanenza. Le piace questo posto e quando le chiedo se ci vorrebbe rimanere, lei subito risponde: ≤ Sì, vorrei restare qui! ≥
≤ L’Italia è un bel paese, ti troverai bene ≥, le rispondo, facendole l’occhiolino.
Lei sorride, abbassa lo sguardo e poi cerca quello del padre.
Interviste di Emanuela Guerra
Foto di Roberto Pisconti