Il volto segnato dalle rughe del tempo, lo sguardo fisso sul tavolo, Nataliia si siede in attesa di istruzioni; ha settantasei anni e li dimostra in modo naturale: indossa un maglioncino rosa salmone con un gilet beige che la tiene al caldo, le mani rugate appoggiate sulle gambe, rimane lì, ferma immobile.
Dopo il suo diploma in economia e contabilità ha lavorato per ventinove anni in un’azienda del settore agricolo e le piaceva molto quello che faceva.
Nataliia ha quattro figli, un maschio e tre femmine, tutti adulti con una propria famiglia. Attualmente è insieme alle sue tre figlie, una delle quali già residente in Italia da molto tempo, mentre il maschio è ancora in Ucraina e non può uscire dal paese. Ha paura per lui, è molto preoccupata.
Quando pronuncia il suo nome istintivamente abbassa lo sguardo, per poi cercare quello della figlia che le accarezza amorevolmente le spalle, quasi a volerla proteggere.
Quando la presenza militare nel suo villaggio si è intensificata improvvisamente ha avuto molta paura: Nataliia ha già vissuto la guerra quando era bambina e in quei giorni sembrava che la storia si stesse ripetendo.
Così, aiutata dalla famiglia, si è messa in fuga: ha preso le sue cose, quello che poteva sembrare necessario, ed è partita.
Prima un treno diretto a Leopoli, un viaggio della speranza durato diciotto ore, poi un tragitto in pullman della durata di ventidue ore, sino alla salvezza.
I controlli erano intensi, le pause continue, sembrava che tutto volesse osteggiare la fuga.
Quando parliamo di “salvezza” Natalia non sembra felice: tiene lo sguardo basso, nessun gesto. Aiutata dalla figlia ci spiega che la sua patria è l’Ucraina e che lei non voleva lasciarla per nessuna ragione, vuole tornare a casa il prima possibile. La figlia sorride e mi dice: ≤ Mi ha detto che quando sarà tutto finito, lei non tornerà più qui. Sarò io ad andare a trovarla a casa. ≥
Rispondendo alle nostre domande, senza mai tirarsi indietro – con una calma apparente che ci fa gelare il sangue – ci racconta che attualmente la sua paura e angoscia più grande è tutta riversata verso i suoi figli e i suoi nipoti. Sul futuro, insomma.
L’anziana signora con una dignità statuaria finalmente mi guarda negli occhi: ≤ Ho la speranza nel cuore che l’Ucraina possa vincere e che io possa tornare nella mia terra. Voglio che vincano i nostri e che l’Ucraina diventi finalmente un paese libero.≥
Interviste di Emanuela Guerra
Foto di Roberto Pisconti